Pensieri Confusi in una Sera d'Inverno
Credo che questo sia il post più difficile da scrivere (e da pubblicare). Un post che mi mette completamente a nudo e vuole essere più di un semplice resoconto di quello che mi è successo in questi mesi. E non ha neanche la pretesa di essere un post compassionevole o di vittimismo o un post commuovente o che vuole dare un messaggio.
è solo un post per me, per sfogarmi, per mettere in ordine le idee e i pensieri nella speranza che possa essere un nuovo inizio. Perché sento che il fatto di non raccontarlo mi stia bloccando. Sento l'esigenza di raccontalo, forse perché lasciare liberi i pensieri al mondo in qualche modo li alleggerisce del loro peso e li rende meno difficili da trasportare da sola.
Gli ultimi mesi per me sono stati come una scossa, un terremoto che fa tremare la terra sotto i piedi e ti toglie il fiato.
Tutto è iniziato questa estate, quando il lavoro ha cominciato ad andare male. In realtà è stato l'apice di una serie di comportamenti all'interno dell'ufficio che si sono accumulati nel tempo. Quei comportamenti che si tendono sempre a giustificare, a ignorare o dare per scontato. E invece avrei dovuto accorgermene prima. Avrei dovuto sapere che non c'era niente di positivo nel venire continuamente schiacciata e sminuita. E avrei dovuto sapere che in certi ambienti di lavoro non si possono dire certe cose. Non si può esporre apertamente il disagio che si sta vivendo.
Quando poi mi è stato comunicato che il mio contratto non sarebbe stato rinnovato, è stato il momento in cui ho iniziato a sprofondare seriamente. Perché un lavoro non è mai solo un lavoro. Il lavoro è qualcosa che ci definisce. Quando le persone ci chiedono "Cosa fai nella vita?", sicuramente non interessa loro sapere quale hobby occupa le nostre domeniche pomeriggio.
Quindi, senza il lavoro, io chi sono?
Il senso di fallimento si è subito impossessato di me. Senza il lavoro sono una fallita. Una fallita che non sa neanche comportarsi in modo adeguato, una fallita che non sa tenere chiusa la bocca e deve per forza mettere a nudo la verità, una fallita che non sa stare al suo posto, una fallita che non riesce neanche a tenersi un lavoro e che non fa altro che piangere e avere sensi di colpa.
E non solo questo. Ho risentito addosso quel peso di mediocrità che mi porto avanti da tutta la vita. Essere una persona mediocre non mi è stato mai concesso. Fin da bambina io volevo, anzi dovevo essere la migliore, soprattutto a scuola. Dovevo essere brava. Dovevo essere la figlia perfetta. Sbagliare non era concepito. Eppure ho sempre avuto la consapevolezza di essere in qualche modo mediocre. E forse questo mi spingeva a voler far di tutto per essere speciale. Io volevo cambiare il mondo e fare in modo che le persone si ricordassero di me.
Questo senso di mediocrità ha messo in crisi anche la parte più creativa di me, quella che è cresciuta con me e che mi ha accompagnata e consolata per tanti anni. Sentivo di non essere più in grado di farlo. La mia testa continuava a ripetermi che era tutto inutile, che c'è e ci sarà sempre qualcuno più bravo di me, qualcuno capace di scrivere meglio di me. E quindi era anche inutile provarci. Solo una predisposizione più che un vero e proprio talento, come quando un bambino alle elementari è più predisposto a studiare matematica che geografia, senza per forza diventare un fisico nucleare. Non solo non riuscivo a scrivere un racconto, o il blog, ma non riuscivo neanche a scrivere sul mio diario. Un po' mi odio quando riempio quelle pagine bianche solo di pensieri negativi, come se la mia vita non avesse altro che brutti pensieri. Ma in quel periodo le pagine si stavano riempendo troppo spesso di questo senso di mediocrità e inadeguatezza. Che senso avrebbe avuto continuare a ripercorrere gli stessi pensieri? A cosa sarebbe servito alla Sara del futuro rileggere pagine e pagine di lamentele?
La terapia mi ha aiutata tantissimo. Non aprirò una pagina sul mio percorso, ma se non ci fosse stata la terapia probabilmente sarei affondata. E probabilmente sarebbe stato difficile ritornare in superficie.
E ora?
Il dolore passa. Il vento cambia. Bisogna solo attendere e puntare lo sguardo all'orizzonte.
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