Consiglio di Scrittura n° 2: Come Ridurre un Testo

 Uno degli incubi di tutti gli scrittori è senza dubbio la revisione. Siamo talmente tanto dentro il testo che facciamo fatica a lasciarlo andare e ad accorgerci degli errori, dei refusi e delle incoerenze tra una pagina e l'altra. 

Ma forse c'è qualcosa di ben peggiore della revisione e dell'editing in sé: dover tagliare un testo. Perché sì a volte può capitare di dover rispettare dei limiti di caratteri o pagine e il nostro testo li supera di gran lunga. E allora quello è il momento in cui ci mettiamo le mani nei capelli e probabilmente piangiamo. 

Il nostro testo al quale siamo affezionati deve essere tagliato e ridotto. Il nostro testo che abbiamo scritto di getto alle due di notte o per il quale abbiamo speso giorni e giorni fissando una pagina bianca in attesa di un barlume di idea. Il nostro testo a cui siamo tanto affezionati e per cui abbiamo scelto meticolosamente ogni parola deve subire modifiche ed essere accorciato. 

Ci sono però dei piccoli trucchetti per ridurre un testo. Può sembrare banale, ma tutto parte dall'organizzazione del testo o del racconto che vogliamo scrivere. Stendere scalette, creare moodboard, fare mappe e organizzare il testo ci permette di avere ben chiaro, anche visivamente, lo scheletro dello scritto. Si conosce così l'inizio e quale è l'obiettivo finale e tutti i vari passaggi importanti che stanno nel mezzo e così sarà più facile eliminare parti quelle parti non essenziali alla trama. 

Il secondo trucchetto che permette di eliminare qualche battuta è eliminare avverbi e aggettivi. Per quanto ci piacciano tuti quegli avverbi che finiscono in "mente", a volte tendiamo ad abusarne. Quindi non sono sempre necessari, si può esprimere un concetto anche senza l'uso di continui avverbi. Lo stesso vale anche per gli aggettivi. Dobbiamo ricordarci che a volte basta un solo aggettivo per descrivere una cosa o una persona, se ben scelto sarà molto più funzionale di altri tre o quattro. Oppure domandarsi se quell'aggettivo è davvero utile per lo sviluppo della storia. Ad esempio scrivere "guidava distratto sulla sua macchina rossa" potrebbe avere lo stesso effetto di "guidava distratto" perché il verbo guidare porta già il lettore a pensare ad un'automobile e il colore della macchina non è rilevante a meno che il protagonista non sparisca o venga coinvolto in un incidente. 

Un trucchetto un po' più complesso è quello di eliminare i dialoghi, riassumendoli in discorsi indiretti; risulta un po' difficile perché molto spesso sono proprio i dialoghi a caratterizzare i personaggi e possono venirci in aiuto nelle spiegazioni. Certamente si possono però eliminare i dialoghi inseriti come riempitivo del vuoto e che non portano avanti la trama o i personaggi. 

Sicuramente il consiglio migliore è quello di provare a riassumere un concetto molto lungo in poche righe o parole e vedere se ha comunque senso, si regge da solo e porta avanti la trama. 

Prima di iniziare a tagliare o comunque a fare la revisione, bisogna sempre far riposare il proprio testo. Lasciarlo lì, dimenticarsene per qualche giorno e solo dopo riprenderlo per sistemarlo. Questo per riuscire a vederlo in modo più oggettivo e distaccarsi dal flusso creativo che ha permesso di scriverlo. 

Vi lascio qui un esempio di una riduzione di un testo che ho svolto durante un esercizio per un esame universitario. Il primo testo è la prima bozza, quella scritta di impulso senza tenere in considerazione il limite di battute; il secondo invece è il testo finale revisionato ed accorciato. 
Avvertenze alle persone particolarmente sensibili: il testo tratta di tematiche forti legate alla depressione.
Mia madre dice che sono malato. Probabilmente glielo ha detto il dottor Google.
Continua a chiedermi come mi sento. Sto bene. Sono solo stanco. Vorrei solo starmene nel letto tutto il giorno a pensare.
«Perché non mi dici quello a cui pensi?» chiede lei con quella voce odiosa che usano i dottori con i bambini piccoli.
Non sono malato vorrei dirle. «Niente» rispondo e poi aggiungo «Sto bene» giusto per tranquillizzarla. Sospira. Sospiro.
«Ho parlato con un’amica» comincia come se stesse dando voce ai pensieri. «Credo che è ora di guardare in faccia la realtà». Sono confuso. «I tuoi comportamenti dicono che sei in depressione» la sua voce ora ha il tono del dottore che deve informare il paziente della morte.
Depressione, che parola curiosa. Non credo di essere Depresso. Ho fatto anche io delle ricerche. Non ho nessun sintomo di quelli che vengono descritti. Il dottor Google dice che la depressione è presente maggiormente nelle donne. Nessun sito parla di adolescenti maschi depressi. Molti associano la depressione con i disturbi alimentari, parlano di perdita di peso, ma non è sempre così. Nel mio caso il mio corpo sta bene, mi sento solo affaticato a volte, ma con tutto lo sport che pratico credo sia normale.
Continuando a scorrere la rete leggo che la depressione porta quotidianamente pensieri di morte e tendenze suicide. Insomma a quei gesti folli e inconsapevoli. Sono abbastanza sicuro di non pensare tutti i giorni alla morte. Magari ogni tanto. E l’unica volta che ho provato a tagliarmi ero del tutto consapevole di ciò che facevo. La follia mi avrebbe portato a rifarlo. La ragione me lo impedisce.
Quando si parla di depressione si pensa subito all’apatia. Solo perché non voglio parlare di come mi sento non vuol dire che non provi nulla. In questo momento tutte le mie emozioni, le mie preoccupazioni sono amplificate a mille. Le sensazioni sono fortissime, ogni cosa diventa un pretesto per scatenare tristezza, rabbia in un uragano confuso. Quando poi dicono che è solo una cosa mentale, mi convinco di non soffrire di depressione. Il mio corpo è coinvolto in quello che sento. Ogni cellula lo sente, sono come piccole vibrazioni simbolo che l’uragano ha iniziato a vorticare- è una fiamma che corrode dall’interno. Altro che freddo.
Mia madre ha deciso che devo guarire. «Devi parlane con qualcuno». Ho provato a dirle che, se pensa che sia davvero malato dovrebbe portarmi all’ospedale o darmi delle medicine. Parlare di come mi sento. Che cavolata. Lei ha provato mille volte, ma ha sempre fallito.
Comunicare non è la cura.
Appena entriamo al centro di ascolto un signore dell’età di mia madre mi sorride. È il primo sorriso che qualcuno mi rivolge. Un sorriso sincero, amichevole non compassionevole.
«Come sta il drago che è dentro di te?» mi chiede sempre con un tono amichevole. Lui sa del fuoco che mi porto dentro.
«Brucia» rispondo senza pensarci troppo, la voce rotta.
Parlare potrebbe non essere la cura, ma potrebbe farmi stare meglio, la differenza è sottile. 
(testo da 2.50 battute spazi esclusi, 502 parole)


Testo ridotto:

Mia madre dice che sono malato. Probabilmente glielo ha suggerito il dottor Google.
«Parlare di come ti senti, potrebbe aiutarti a stare meglio». Parlare di come mi sento. Che cavolata.
Sto bene, sono solo stanco, vorrei starmene tutto il giorno a letto a pensare.
È convinta che soffro di depressione, che parola curiosa. Non credo di essere depresso o avere dei
sintomi. Il dottor Google precisa che la depressione è presente maggiormente nelle donne, nessun
accenno ad adolescenti maschi; viene anche associata ai disturbi alimentari e ad un'eccessiva perdita
di peso, eppure il mio corpo sta bene, mi sento solo affaticato, ma considerando tutto lo sport che
pratico credo sia normale.
Continuando a scorrere per la rete leggo di come la depressione porta quotidianamente a pensieri
suicidi, a gesti folli e inconsapevoli. Sono abbastanza sicuro di non pensare tutti i giorni alla morte.
Magari ogni tanto. L'unica volta in cui ho provato a farmi del male ero del tutto consapevole. La
follia mi avrebbe portato a rifarlo. La ragione e il dolore me lo impediscono.
La depressione è collegata all'apatia. Solo perché non voglio parlare di come mi sento non vuol dire
che non provi nulla. In questo momento tutte le mie emozioni sono amplificate. Tutto diventa un
pretesto per scatenare tristezza e rabbia in un uragano confuso. Non solo la mente, ma anche il mio
corpo è coinvolto, ogni cellula avverte le vibrazioni del tornado che si sta scatenando, ma nessuna è
in grado di fermarlo. È una fiamma che corrode dall'interno.
Mia madre ha deciso che devo guarire. «Devi parlare con qualcuno che non sia io». Ho cercato di
farle capire che dovrebbe portarmi all'ospedale se pensa che sia davvero malato. Le medicine sono
delle cure, le parole no. Lei ha provato mille volte a farmi esprimere, ma ha sempre fallito, perché
dovrebbe riuscirci uno sconosciuto.
Appena entriamo al centro d'ascolto un signore mi sorride, un sorriso amichevole, non
compassionevole. «Come sta il drago che è in te?» chiede. Lui sa del mio fuoco.
«Brucia» rispondo senza pensarci. La voce rotta. Le parole non sono medicine, ma possono essere
acqua. 
(testo da 1.777 battute spazi esclusi, 352 parole)
 

 

 

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